L’approvvigionamento energetico italiano ha risentito pesantemente degli accadimenti degli ultimi anni. La guerra in Ucraina è stata solo l’ennesimo problema di un sistema energetico giudicato da tanti inadeguato alle sfide contemporanee e future
Sulle difficoltà contemporanee si dibatte già da tempo, e l’impennata delle bollette negli ultimi sei mesi sta lì a dimostrarlo. Gli interventi del governo percepiti dai cittadini si son potuti limitare, per il momento, a semplici atti di riduzione dei costi fissi per le bollette dell’energia elettrica e del gas, di un rimodulamento delle imposte indirette (l’IVA) e di un aumento delle risorse per gli strumenti già esistenti dedicati alle fasce della popolazione socialmente più deboli, con il bonus energia.
Tuttavia si continua a lavorare sull’aspetto strutturale, portante, del problema energetico nazionale, con spiragli di apertura verso iniziative che sembravano secondarie o morte e sepolte per quanto riguarda il motore principale del sistema energia italiano ed europeo: il gas naturale.

È bene ricordarsi, infatti, che più della metà dell’energia elettrica in Italia viene prodotta per combustione di metano, buona parte importato dalla Russia, dall’Algeria e dal Medioriente. A livello europeo la situazione è più variegata ma non molto diversa da quella nazionale.
La Francia, con le sue decine di centrali atomiche, anche se alcune ormai a fine vita, rappresenta una delle poche eccezioni all’interno dell’Unione Europea, mentre la Germania si ritrova ad avere una situazione di dipendenza dal gas metano molto più simile alla nostra viste le politiche di dismissione delle centrali atomiche dopo l’incidente di Fukushima nel 2011 e l’impegno per la decarbonizzazione assunto in questi ultimi anni, nonostante le tante riserve carbonifere ancora disponibili.
La necessità di gas, oltre che per valutazioni di tipo strategico, è ciò che ha portato la Germania nel 2011 a lanciare il raddoppio del gasdotto NordStream, che dalla Russia porta il gas direttamente in Germania passando nel Mar Baltico, invece che attraverso la Polonia, nemico storico della Russia e bastione NATO tra i più agguerriti contro l’influenza russa in Europa. Con l’inasprirsi della guerra, a marzo 2022, il cancelliere tedesco Scholz ha dichiarato sospeso a tempo indeterminato il progetto Nord Stream 2, ormai completato.
C’è chi pensa che questa chiusura sia solamente temporanea, e che chiudere il gas russo non convenga a né ai fornitori né ai consumatori finali. Allo stesso tempo però, altri progetti per una stabilità energetica in Europa sono in fase di sviluppo e vengono rivalutati, anche a fronte dell’impellenza ecologica.
Continua infatti la ricerca di un’autonomia e stabilità energetica nazionale basata sulla produzione di energia elettrica da fonti rinnovabili, con il via libera del governo per la creazione di sei parchi eolici e il disperato tentativo di sviluppare più impianti solari nonostante il ritardo accumulato negli ultimi anni tra cattiva progettazione economica, burocrazia interminabile e speculazione. Oltra alla necessità di decarbonizzare il portafoglio energetico nazionale, lo sviluppo di questi e altri progetti dovrebbe portare anche a un certo vantaggio strategico per il paese che, secondo i numeri forniti dal ministro Cingolani durante l’ultima audizione al Senato, ridurrebbe di 3 miliardi di metri cubi l’importazione di gas ogni 8mila MW di rinnovabili in più prodotto sul territorio.
Tuttavia il gas è tra le fonti considerate di transizione. Diversi esperti concordano che, per mantenere quasi invariati i costi dell’energia per imprese e famiglie, sia necessario sì sovvenzionare e investire di più nei progetti a zero emissioni, tra cui lo sviluppo di progetti sull’idrogeno, ma per l’immediato futuro sia altrettanto inevitabile affidarsi al gas naturale. E qui torna il problema: in Europa l’attività di estrazione è quasi irrisoria, rispetto al fabbisogno energetico e la quantità importata da paesi considerati rivali, come la Russia.
Per questi motivi, da una parte c’è chi, come l’amministratore delegato di SNAM Marco Alverà, propone il raddoppio di linee già esistenti come il TAP (Trans Adriatic Pipeline), parte corridoio meridionale del gas che parte dalla Turchia europea e arriva in Puglia (passando per Grecia, Albania e mar Adriatico), collegandosi alle reti anatoliche (TANAP) e caucasiche (SCP) che pescano dai giacimenti nel mar Caspio. Dall’altra sembrano tornare di nuovo sul tavolo come EastMed, la linea di gasdotto che dovrebbe collegare Israele alla Puglia passando per Cipro e Grecia, che trova però forte opposizione da parte della Turchia e per questo aveva spinto gli USA, qualche mese fa, a ritirare il proprio sostegno.

Già si sapeva che la chiusura a EastMed avrebbe spinto l’Europa ancora di più verso l’approvvigionamento dalla Russia, ma le tensioni con la Turchia sulle ZEE mediterranee e Cipro (contesa da decenni ormai tra una parte greca e una turca, occupata negli anni ‘70) gli USA sembrava avessero deciso di tenere un equilibrio equidistante tra i suoi partner NATO di non poco conto e altri fondamentali (la Turchia, appunto, la Grecia e Israele).
Tra le altre rotte proposte rimane sempre quella africana, il cui rafforzamento secondo l’ad ENI Claudio Descalzi sarebbe ancora una volta fondamentale per staccarsi dalle dipendenze russe (Eni ha acquistato 22,5 miliardi di metri cubi di gas dalla Russia, su un totale di circa 62 miliardi, nel solo 2020) importando gas da Libia, Algeria e Congo. In questo modo l’Italia si ritroverebbe ad essere non solo al sicuro per quanto riguarda le proprie riserve energetiche, ma si troverebbe a sfruttare la propria posizione geografica strategica diventando un ponte di terra su cui costruire un ponte energetico per i paesi dell’Europa centrale e centro-meridionale che hanno necessità di staccarsi dalla dipendenza russa.