Il progetto Eni di cattura e stoccaggio della CO2 nell’Adriatico solleva diverse polemiche. Vediamo di cosa si tratta e quali sono i dubbi
Da qualche tempo montano proteste e discussioni sull’attuazione di un progetto Eni di cattura e stoccaggio della CO2 nell’Adriatico, a largo di Ravenna. Il progetto di stoccaggio della CO2 nei giacimenti esauriti, per cui è stata chiesta l’autorizzazione al Ministero della Transizione Ecologica lo scorso 31 maggio, si inserisce nell’ambito del processo di riduzione e abbattimento delle emissioni dei gas climalteranti entro la metà di questo secolo per cercare di contenere i disastrosi effetti del cambiamento climatico già in atto.
In cosa consiste la cattura e lo stoccaggio della CO2
Il progetto prevede la cattura alla fonte dell’anidride carbonica emessa dalle attuali centrali elettriche ENI alimentate a gas metano (non proprio una fonte rinnovabile) e da tutti quegli impianti industriali le cui emissioni sembrano al momento tecnologicamente difficili da ridurre (hard to abate), come gli impianti chimici e siderurgici, i cementifici, l’industria della carta e del vetro, ecc.
Una volta catturata, la CO2 verrebbe compressa e ridotta allo stato liquido, per poi essere iniettata nei giacimenti ormai vuoti o poco sfruttabili dell’Adriatico a circa 4000 metri di profondità. I giacimenti non sono spazi vuoti nelle profondità marine, ma strati di roccia sabbiosa compatta e permeabile, impregnata di gas, petrolio, acqua e altri materiali. Si stima quindi una capacità di stoccaggio tra i 300 e i 500 milioni di tonnellate di CO2 nella stessa roccia spugnosa da cui per decenni è stato estratto il gas naturale. Questa operazione non è fantascienza, ed Eni non è certo inesperta nel campo.
Già dal 1996 l’azienda è partner dell’impianto di Sleipner in Norvegia, in cui al momento son stati stoccati circa 16 milioni di tonnellate di CO2. Altri progetti son stati approvati o sono in corso di realizzazione nel Regno Unito, dove l’Eni sta costruendo insieme ad un consorzio con altre aziende britanniche, un impianto di stoccaggio nella baia di Liverpool, che entrerà in funzione entro il 2025 e riceverà circa la metà del capitale necessario alla realizzazione da parte dello stato. Eni collabora anche ad altri progetti britannici (al 16,7% nel North Endurance Partnership, con BP, Shell e altri colossi del fossile, e al 20% nel Net Zero Teesside) e nel Sud Pacifico, fra Australia e Timor Est.

Le obiezioni sullo stoccaggio della CO2 degli ambientalisti
Tuttavia, molti importanti movimenti per la salvaguardia ambientale attivi in Emilia Romagna, già dall’anno scorso hanno manifestato diversi dubbi sulla reale bontà e utilità del progetto. Nel dicembre 2020 Legambiente aveva dichiarato in un comunicato come l’impegno di Eni fosse in realtà «un progetto fuori dal tempo», accusando il colosso degli idrocarburi di non star compiendo dei passi reali di allontanamento dal fossile, ma solo l’ennesima campagna di greenwashing e speculazione sull’emergenza climatica in atto.
La protesta è stata rivolta anche al governo che «invece di spendere i soldi dei contribuenti italiani ed europei del programma Next Generation EU su un incomprensibile progetto di CCS […] queste risorse vanno investite in maniera decisa su impiantistica legata allo sviluppo delle rinnovabili come l’eolico e il fotovoltaico offshore e l’idrogeno verde».
E proprio da una forza dell’attuale maggioranza, il Movimento 5 Stelle, è arrivata un’interrogazione prima della chiusura estiva dei lavori parlamentari. I senatori Marco Croatti e Gianni Girotto (M5S), hanno fatto notare al ministero della Transizione ecologica e al ministero delle Finanze come l’azienda petrolifera (ad ampia partecipazione statale) sia poco impegnata in confronto ad altri colossi europei del settore nell’installare nuova potenza energetica rinnovabile (15 nuovi GW da FER al 2030, in confronto a 100 GW e 50 GW di rinnovabili entro la stessa data rispettivamente di Total e British Petroleum).
Ancora l’8 agosto 2021, Goletta Verde di Legambiente ha manifestato sulle spiagge di Ravenna per ribadire l’inutilità, e secondo alcuni la pericolosità, del progetto ENI di cattura e stoccaggio della CO2 nei fondali dell’Adriatico, ribadendo come l’azienda sia tra i 33 maggiori nemici del Clima del settore energetico, contribuendo in maniera drammatica al cambiamento climatico e all’inquinamento locale.
La difesa di ENI
L’azienda comunque non ci sta a fare la parte del cattivo e difende il proprio operato. Già in un comunicato del 16 luglio 2021, l’azienda aveva ribadito come il suo impegno per l’ambiente sia proiettato non solo della diminuzione delle emissioni nel futuro, ma anche nell’immediato presente. Il progetto di cattura e stoccaggio della CO2 nei giacimenti esauriti di gas nei fondali adriatici è infatti un modo per abbassare da subito l’emissione in atmosfera di gas serra emesse da aziende e produzioni energetiche che non possono sparire da un giorno all’altro né essere interrotte.
«Il progetto Eni di Ravenna prevede di estendere le attività di stoccaggio a supporto dell’industria del nostro paese con una capacità iniziale di riduzione di CO2 pari a 4 milioni di tonnellate all’anno di anidride carbonica, fornendo in questo modo uno dei più importanti contributi alle riduzioni di emissioni che l’Italia può attuare già a partire dal 2026».
Infine, l’azienda sottolinea ancora una volta la propria esperienza nel settore, la sicurezza delle procedure di cattura e stoccaggio della CO2 e la necessità di compiere una transizione che tenga conto non solo della sostenibilità ambientale, ma anche di quella sociale ed economica del Paese. Conclude il comunicato:
«La grande complessità della transizione energetica risiede nella necessità di trasformare velocemente modelli di produzione di energia consolidati da decenni in nuovi modelli più sostenibili, continuando però a fornire tutta l’energia di cui il mondo ha bisogno, e tutelando i livelli occupazionali e di sviluppo territoriale attualmente ai modelli energetici tradizionali. Il concetto stesso di sostenibilità prevede che debbano essere considerati in egual misura gli ambiti ambientale, sociale ed economico, che devono procedere di pari passo, e per queste ragioni i modelli ed i sistemi produttivi tradizionali non possono essere eliminati dall’oggi al domani ma devono necessariamente rientrare nel processo di transizione e trasformazione».