Non solo il COVID e la guerra: la lunga crisi del cambiamento climatico e delle misure per affrontarlo stanno presentando il conto. Il problema principale questa volta è la mancanza di acqua.
L’utilizzo di centrali idroelettriche è da sempre uno dei vanti e dei punti di forza dell’area più industrializzata del paese, e da più di un secolo le dighe e le centrali che ospitano i generatori forniscono gran parte dell’energia rinnovabile per illuminare le città del nord Italia e tenere attive le aziende. Ma cosa succede se l’immagine del paesaggio trasmesso culturalmente di generazione in generazione non corrisponde più allo spazio reale? Si perde di vista la necessità di adattarsi al territorio che cambia, nonostante numerosi appelli da parte di esperti, che son rimasti a lungo inascoltati.

Il Po, la principale arteria idrica del Nord Italia, è ormai in secca: poca neve sulle Alpi (diminuita drasticamente negli ultimi decenni), piogge scarsissime o insufficienti, caldo torrido e oltre le medie stagionali per diversi mesi. La tempesta perfetta. Ma il Po in secca vuol dire anche problemi alle produzioni cerealicole della pianura padana, e a tutte le altre attività agricole e di allevamento.
La siccità del Po vuol dire anche avere un problema a monte, non solo a valle, e negli spazi intermedi tra questi due punti. La crisi idrica colpisce infatti gli usi quotidiani della popolazione che abiti i vari paesi e città, che si ritrovano con restrizioni e possibili razionamenti come avveniva sino a ormai 15 anni fa in diverse regioni del Sud Italia.
Nonostante l’aumento vertiginoso delle temperature medie estive, un tempo mediamente più secco e la pressione della popolazione turistica estiva sui territori, queste regioni hanno risolto per il momento la carenza idrica sulle aziende agricole e sulle forniture di acqua potabile con il più antico dei sistemi, cioè creando invasi dove poter conservare e l’acqua dei periodi più piovosi.
I numeri delle due aree d’Italia non sono comunque pienamente comparabili, soprattutto per quanto riguarda il problema energetico.
La produzione energetica del Nord Italia è infatti in crisi proprio per il forte contributo che per decenni le centrali idroelettriche dell’arco alpino hanno dato al sistema di produzione di energia elettrica che alimenta l’importante comparto industriale e l’altrettanto importante (in termini meramente numerici) ambito civile.
La crisi energetica attuale si può individuare in tre eventi:
- Il vantaggio energetico delle centrali idroelettriche sta nei sistemi di pompaggio che permettono di usare il “carburante” (cioè l’acqua) potenzialmente all’infinito. L’acqua tenuta negli invasi viene rilasciata per attivare le turbine e viene poi ripompata a monte per essere rilasciata altre volte. Con la crisi idrica e la necessità di acqua per il comparto civile e agroalimentare, il “carburante” viene disperso a valle e non può essere riutilizzato.
- L’alternativa alle centrali idroelettriche nell’immediato è solo per i combustibili fossili: gas, petrolio, carbone. Con la guerra in corso tra il blocco euroatlantico e la Russia, tra i principali fornitori di gas e petrolio dell’Italia, le cose si complicano. La riduzione del gas da parte di Gazprom avvenuta nei giorni scorsi verso vari paesi europei, tra cui l’Italia, le restrizioni legate all’importazione di petrolio e il ban totale all’importazione di carbone, lasciano il Nord Italia senza troppe vie d’uscita se non riattivare tutte le centrali termoelettriche a disposizione, comprese quelle a carbone. Un ultimo imprevisto in agguato: con scarsità d’acqua anche i sistemi di raffreddamento delle centrai termoelettriche rischiano di saltare.
- La crisi climatica dalla quale non è possibile uscire a breve e che è stata provocata proprio dall’uso massivo di combustibili fossili è ciò che sta influenzando pesantemente la piovosità scarsi dell’arco alpino e delle valli padane. Ma senza acqua, meno potenza nelle centrali idroelettriche. C’è un ultimo fattore: l’aumento delle temperature e dell’umidità sembra aver portato ad un aumento nei consumi elettrici proprio in estate, con la diffusione dei condizionatori in negozi e abitazioni, spesso mal utilizzati (temperature troppo basse, ambienti non coibentati o con porte e finestre aperte). Il problema sta anche nelle infrastrutture: con l’aumento delle temperature e del carico elettrico, i giunti di sostituzioni utilizzati per le riparazioni sembrano reggere poco, dando così luogo in città come Milano a continui black out.
A fine giugno 2022 la situazione è dunque questa, in attesa delle possibili mosse delle istituzioni su ciò che poco possono nell’immediato. Che estate sarà?